PIANETA ADOLESCENTI
CHIEDIMI SE VOGLIO VIVERE
IL SUICIDIO È LA TERZA CAUSA
DI MORTE NEL MONDO TRA GLI ADOLESCENTI, DOPO INCIDENTI STRADALI E AIDS. UN
ALLARME CHE RACCONTA LA FRAGILITÀ DEI GIOVANI, L'INCAPACITÀ DI GESTIRE IL
PROPRIO PERCORSO DI CRESCITA E DI IDENTIFICAZIONE, MA CHE SOPRATTUTTO CHIAMA IL
MONDO ADULTO A UN RINNOVATO IMPEGNO NELL'ASCOLTO E NELL'EDUCAZIONE A UN SENSO
PROFONDO DELLA VITA
Riproduzione parziale
dal n. 186 di "Noi, genitori & figli" del 06/07/2014
di Emanuela Vinai
L'adolescenza, si sa, è un periodo difficile, 'L'età ingrata" si
diceva una volta e nel mondo di oggi troppo spesso è un momento segnato da
solitudine, frustrazione, delusione. Ora l'allarme lo ha lanciato nientemeno che
l'Organizzazione mondiale della sanità. Nel recente rapporto Health for the
world's adolescents evidenzia come nei giovani di tutto il mondo, di età
compresa tra i 10 e i 19 anni, il suicidio sia la terza causa di morte dopo
incidenti stradali e Aids e la causa dominante di malattia e disabilità sia
proprio la depressione. Solo nel 2012 sono stati circa 1,3 milioni di
adolescenti a perdere la vita per queste ragioni.
Questo dato angosciante che certifica la vulnerabilità dei giovani, non solo
testimonia le difficoltà incontrate dal ragazzo/a durante il suo percorso di
identificazione e di emancipazione, ma esprime anche un disagio dell'intera
società. Gli adolescenti vivono in un mondo incapace di comunicare valori e
significati esistenziali e di fornire gli strumenti necessari per il costituirsi
di un senso d'identità solido e forte. Allo stesso tempo, il troppo interesse e
l'enfatizzazione mediatica possono portare a fenomeni di emulazione. Prestare
troppa attenzione in tv e sui giornali ai casi di suicidio può risultare un
boomerang e stimolare pericolosi comportamenti emulativi fra gli adolescenti. A
dirlo è una ricerca dello State Psychiatric Institute di New York
pubblicata sulla nuova rivista psichiatrica, The Lancet Psychiatry. Lo chiarisce
Madelyn Gould, fra gli autori dell'analisi: «I nostri dati indicano che
la copertura giornalistica e la quantità di dettagli pubblicati potrebbero
influenzare il numero di suicidi portati a termine dagli adolescenti per imitare
il primo».
«L'adolescenza è un'età complessa in cui entrano in gioco diversi aspetti nodali
della personalità perché è il momento in cui si struttura l'identità
dell'individuo», spiega Giancarlo Ricci, psicanalista e saggista. «Gli
adolescenti attraversano una regione particolare, dove c'è molta solitudine,
noia e dove le scelte importanti rimangono sospese e da elaborare. E una fase in
cui prorompe il desiderio di vivere, ma c'è un'interrogazione radicale sul senso
del vivere e rispetto agli enigmi che avvolgono l'uomo, come la morte». Ma dove
si perdono gli adolescenti? «Parlare di adolescenza e suicidio chiama in causa
un certo modo di avvertire il disagio giovanile e certamente la nostra società
non favorisce il tema del passaggio perché c'è una grande fragilità relativa
alla dipendenza dagli altri, dalle aspettative dei genitori, dalla ricerca di sé
- continua Ricci -. Nel mondo odierno il rischio è che tutto sia già pensato,
pensabile e programmato, e dove il divertimento è un obbligo, i ragazzi cercano
in tutti i modi di superare altri limiti anche con l'autodistruzione. Faticare a
trovare un senso alla vita rende la morte affascinante». La responsabilità della
società in questo processo pesa più di quello che si crede.
«La società del benessere preferisce otturare o prevenire
ogni desiderio, perché non sopporta che un giovane possa trovare una via
autonoma per affermare le proprie aspirazioni. Dov'è la fatica, la gioia della
conquista, se già viene dato tutto?».
Il suicidio degli adolescenti sembra diventare allora la
metafora di una società «bulimica, che non è in grado di trasmettere legami
forti e autentici e fa collassare il desiderio».
Nel suo ultimo libro, "Il padre dov'era" (Sugarco Edizioni), Giancarlo Ricci
analizza in particolare la sistematica
delegittimazione della figura paterna
e i danni che ne derivano. «La progressiva desautorazione
di ogni forma di autorità e l'esaltazione della libertà personale incondizionata
determinano un'indifferenza di fondo in cui gli adolescenti non trovano punti di
riferimento». Anzi, i
ragazzi sono come continuamente bombardati da messaggi che esaltano
l'onnipotenza dell'uomo che può decidere cosa fare e come farlo «e allora perché
non poter decidere anche quando morire? Se tutto è possibile allora anche la
morte è possibile e allora perché non sfidarla? La libertà senza responsabilità
porta a conseguenze gravissime».
L'educazione da parte dei genitori non serve solo a fornire le regole di
convivenza sociale, ma anche a supportare i figli con metodi di gestione emotiva
e la capacità di saper affrontare le delusioni e i dolori.
«Si fa sempre più fatica a rimproverare, per un malinteso
tentativo di evitare ai giovani un senso di frustrazione, ma l'ascolto è e resta
un punto fondamentale, nella famiglia e nella scuola»,
aggiunge ancora Ricci. Un ascolto che pone dei punti fermi
e, allo stesso tempo, non deve essere finalizzato a qualcosa di pedagogico
quanto piuttosto a intercettare un disagio, una difficoltà nella costruzione
dell'identità. «Ascolto significa restituire ai giovani il loro modo di porsi
rispetto a libertà e responsabilità». ♦
LA MAMMA CONTA
di Paola Molteni
La mamma è sempre la mamma. Anche quando è
assente, lontana, disattenta, violenta. E tanto più la figura materna è centrale
nella crescita di un individuo, tanto più gravi possono essere i danni causati
dalla sua incapacità di corrispondere al suo ruolo.
I comportamenti antisociali come la rabbia,
l'aggressività e perfino l'istinto al suicidio affondano le radici
nell'infanzia. Di più, proprio il tipo
di legame che si instaura con la madre è responsabile della manifestazione di
condotte aggressive o autolesionistiche nel periodo giovanile e dell'evoluzione
di questi disturbi in disagi ancora più gravi nell'età adulta.
E quanto è emerso nel corso del recente convegno "Comportamenti suicidari e
disturbi borderline e antisociali: gli indici predittivi in infanzia e
adolescenza" organizzato dal dipartimento di Psicologia dell'Università di
Milano-Bicocca. A chiarire come la relazione con la madre possa creare un
bambino insicuro e più avanti un adulto fragile o violento è Karlen
Lyons-Ruth, tra le più importanti psicoanaliste e ricercatrici nell'ambito
degli studi sull'intersoggetività. «Il tono della voce che cambia, le braccia
che all'improvviso si negano ad un abbraccio sono esempi di gesti apparentemente
impercettibili che però possono spaventare profondamente un bambino se a
compierli è la sua mamma. E se questi gesti si ripetono costantemente possono
diventare per lui traumatici come se avesse assistito ad un'aggressione». Così
spiega l'esperta che informa dell'esistenza di una vera e propria scala che
rivela il grado di sensibilità materna. «Uno strumento di osservazione che
permette di distinguere i bambini sicuri da quelli insicuri - chiarisce la Ruth
-. Finora si pensava che il genitore "a rischio", quello cioè incapace di
prestare attenzione flessibile alle richieste affettive del figlio, fosse quello
che avesse vissuto a sua volta esperienze traumatiche, perdite non elaborate. E
invece esiste un'altra ampia gamma di comportamenti "insensibili" che non
trovano spiegazione nel vissuto del genitore».
Attraverso un apposito protocollo che indaga il comportamento materno sono stati
codificati cinque aspetti della comunicazione affettiva fallimentare del
genitore con il bambino. Prendendo in considerazione gli atteggiamenti di
rifiuto del genitore, le risposte negative e quelle disorientate, le espressioni
spaventate e gli errori di dialogo affettivo è stato riscontrato che questi
indici di comunicazione alternata tra la mamma e il bambino sono
significativamente collegati alla presenza di problemi psicologici del figlio:
comportamenti disorganizzati nell'infanzia e disturbi psicopatologici nell'età
adolescenziale come l'istinto al suicidio e disturbi antisociali. Anche il
suicidio dei giovanissimi è stato inquadrato dagli studiosi come conseguenza a
lungo termine del fallimento precoce della comunicazione tra madre e bambino,
cui si aggiungono però anche differenti fattori di tipo psicologico, biologico,
culturale e ambientale. Senza contare che l'adolescenza rappresenta di per sé un
momento delicato nel processo di crescita fisica e psicologica. Il fenomeno del
suicidio in età adolescenziale ha acquisito negli ultimi anni il carattere di
vera e propria emergenza per la sanità pubblica.
I dati mondiali presentati nel 2012
dall'Organizzazione mondiale della sanità mostrano come il suicidio sia la
seconda causa di morte per i giovani di età compresa tra i 14 e i 24 anni, primo
motivo dei decessi per la fascia di età tra i 15 e i 19 anni nei Paesi ad alto
reddito.
Dati di per sé sconcertanti che non tengono conto
dell'insieme dei tentati suicidi, dei cosiddetti parasuicidi, degli atti di
autolesionismo e delle morti "lente" come l'anoressia nervosa, fenomeni che
colpiscono la popolazione adolescenziale in misura maggiore rispetto ai
comportamenti suicidari. Secondo l'ultima rilevazione Istat (2012) l'Italia
registra un tasso di mortalità per suicidio tra i più bassi tra i Paesi Ocse,
con una crescita del fenomeno all'aumentare dell'età. «Numeri meno allarmanti
non devono comunque far abbassare la guardia su un'emergenza così grave come
quella del suicidio adolescenziale - avverte Lucia Carli, docente di
Psicologia dinamica e studiosa della genitorialità all'Università di
Milano-Bicocca. «È necessario creare
sistemi di prevenzione, aiuto e cura che prendano in carica non solo
l'adolescente, ma tutto il sistema familiare.
Aspetto importante soprattutto perché
spesso il cammino verso il suicidio è "silenzioso", non visibile agli altri. Il
tentativo di suicidio è in minima parte dei casi sintomo di una malattia o della
depressione, a volte conseguenza dell'abuso di droghe o alcol, spesso legato al
senso di isolamento del giovane, alla sua impulsività, a una storia di trauma,
di abuso e di violenza. Ma spesso vuole essere un messaggio potente e disperato:
un messaggio rivolto ai genitori, ai propri insegnanti, all'oggetto d'amore».
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