COPPIE IN CRISI: INFEDELTÀ E
PERDONO
INFEDELTÀ LA CURA C'È
Il tradimento, non c'è dubbio, è tra i mali
della nostra epoca. Racconta le ferite profonde di un'unione, spesso nate prima
che si arrivi ad aprirsi alla conoscenza di un'altra persona e a una relazione
clandestina. Si innesta sulle debolezze cavalcate da una società in cui tutto è
corpo. Prospera grazie ai ritmi frenetici del vivere, all'assenza di dialogo. E
può segnare per sempre un matrimonio. A meno che...
Riproduzione parziale
dal n. 152 di "Noi, genitori & figli" del 29/05/2011
di Nicoletta Martinelli
Prevenire il tradimento si può. Basta sposarsi non una, ma due, tre... ennesime
volte. Quando serve e sempre con una persona diversa. La stessa che ci è
cresciuta accanto, che è cambiata come tutti cambiano con il trascorrere della
vita, che riconosciamo diversa ma ancora l'altra metà del nostro essere uno, una
coppia. Sposi per sempre. «Ci sono momenti dell'esistenza in cui è necessario
ridefinire il patto coniugale, ritrovare le ragione di un amore che cambia,
altre e nuove dimensione del legame matrimoniale»: Camillo Regalia—professore di
Psicologia sociale presso la facoltà di Scienze della formazione, all'Università
Cattolica, a Milano — teorizza la reiterazione, possibilmente infinita, delle
nozze. Senza cerimonie, ne basta una, la prima, è sufficiente guardarsi negli
occhi con sincerità, disponibili a fare il punto della situazione, pronti ad
aggiustare il tiro, a trovare obiettivi inediti da aggiungere al progetto
comune, ad accantonare quelli ormai superati. «L'infedeltà coniugale è spesso
l'esito di un tradimento più profondo che riguarda i valori su cui la coppia si
fonda, i patti segreti tra gli sposi, la reciprocità nella relazione. Se non
reggono più, se uno dei coniugi ha preso una strada diversa — spiega Regalia -
l'altro si sente tradito, non riconosce più il proprio compagno. Nell'unione si
apre una crepa, le aspettative deluse creano uno spazio vuoto che qualcun altro,
una persona diversa dal marito o dalla moglie, può colmare».
L'infedeltà — come si capisce - è solo il
sintomo, la manifestazione evidente della malattia che mina la coppia. Come
tutti i sintomi può essere affrontato e la malattia curata, anche se non sempre
guarita. «Il tradimento è difficile da perdonare ma non è imperdonabile.
Ci vuole tempo per smaltire la rabbia, per superarla. Ma —
prosegue Regalia — non è un processo né lento né a buon mercato».
Per la coppia può essere l'occasione per proporre -
proporsi — un nuovo patto coniugale:
la cicatrice resterà, a svolgere l'utile compito di ricordarci quanto siamo
fragili e fallibili. «Tutto dipende dalla capacità di rielaborazione della
coppia, dalla voglia di mettere in campo tutte le risorse -conclude Regalia -
per andare al di là di una semplice riconciliazione».
I motivi per cui si tradisce sono tanti, molti
banali: l'insoddisfazione per la vita di coppia, la voglia di mettersi alla
prova, di verificare se si può ancora esercitare il proprio appeal sull'altro
sesso, il sentimento di rivalsa nei confronti di chi ci ha deluso.
Ma, scriveva Gabriele d'Annunzio, «uccidere
l'amore con il tradimento è omicidio». Al giorno d'oggi il delitto è piuttosto
diffuso e di omicidi - in senso dannunziano — ne circolano parecchi a piede
libero, mentre il tradimento scivola tra le maglie lasse di una morale sempre
più permissiva, derubricato a peccatuccio. Perché prendersela per una
scappatella?, che come spiega il Sabatini-Coletti (la versione del vocabolario
consultabile online) è una «lieve trasgressione ai doveri morali di fedeltà,
soprattutto coniugali». Ed è sempre il dizionario — il Devoto-Oli questa volta —
a porgere una parola di conforto, assicurando che la scappatella è «un'infedeltà
coniugale senza conseguenze». Senza conseguenze per chi?
«Ci sono matrimoni che in nome dello
spontaneismo passano all'infedeltà, in questo modo esponendosi a
un dolore profondo, tanto per chi subisce
il tradimento tanto per chi lo infligge. Sì, anche per chi lo infligge, perché
l'infedeltà intacca l'identità del traditore, impedendogli di riconoscersi nella
scelta fondamentale che ha fatto unendosi al suo sposo o alla sua sposa.
E chi non si riconosce comincia a chiedersi chi è, cosa
vuole, dove sta andando... con tutte le conseguenze che ne derivano». Marta
Brancatisano - docente di Antropologia duale presso l'Istituto Superiore di
Scienze Religiose, all'Apollinare - ha in serbo un'altra brutta notizia:
«Nessuno può sentirsi al sicuro, immune dal tradimento» dice. Perché
all'infedeltà ci si prepara, disponendosi -inconsapevolmente - in una condizione
che la favorisce. «L'unica cura
— spiega Brancatisano — è la
prevenzione. L'amore
va nutrito e coltivato, deve durare
tutta la vita e non basta trascinare avanti il matrimonio, fedeli e tristi,
basandolo sulla sopportazione piuttosto che sul sentimento».
La profilassi anti-tradimento richiede una serie di strategie. Dato che è
principalmente nell'ambiente di lavoro che si nascondono le tentazioni bisogna
trincerarsi dietro una netta separazione tra ciò che è pertinente alla
professione e ciò che inerisce alla relazione: «Ogni intimità con i colleghi
dell'altro sesso - prosegue Brancatisano — rappresenta un rischio. Bisognerà
essere disponibili, accoglienti e collaborativi sul piano lavorativo ma non
entrare in confidenza, in intimità spirituale, in sintonia affettiva». E se una
simpatia c'è, tale deve restare: «La persona che ho scelto di sposare è quella
che mi ha emozionato, quello con cui mi abbandono fiduciosa alla confidenza e
all'intimità perché l'ho scelta. Ho scelto di aiutarla a vivere e siamo due
esseri - spiega Brancatisano - che dalle rispettive diversità ricevono impulso
per la crescita personale». La complementarità degli sposi è esistenziale,
condizione per la pienezza di umanità «da cui discende - riprende Brancatisano -
che anche la ferita inflitta con il
tradimento è esistenziale, è un dolore cosmico quello di un marito o di una
moglie che viene abbandonato. Proprio
questa sofferenza è la dimostrazione viva e pulsante che la struttura umana è
propensa all'amore unico e totale. Se così non fosse, l'infedeltà non sarebbe
un'offesa cosi grande, una tragedia, una ferita a volte incurabile». Di fronte
al fatto compiuto, però, non ci sono alternative: «Se mio marito mi confessa il
tradimento io lo perdono e lo riprendo con me, non lo lascio - spiega la docente
di Antropologia duale - perché sono responsabile di lui nel bene e nel male».
I problemi veri cominciano quando il coniuge non solo non chiede perdono ma non
ne vuole sapere di tornare all'ovile: «Per alcuni il tradimento è
costituzionale, dovuto a caratteristiche intrinseche o ambientali, ci sono
soggetti che si portano dentro molti vuoti -spiega Paola Bassani, psicoterapeuta
— e che questi vuoti cercano di colmare. Si tratta di persone che immaginano che
l'altro, il marito o la moglie, non faccia mai abbastanza per loro, sono
continuamente alla ricerca di conferme. Il traditore è, in genere, un uomo o una
donna in cerca dell'affermazione di sé». Ma se l'amore è dono generoso, il
tradimento è la tomba dell'amore, un dramma che lo colpisce a morte, lo uccide.
«Non è un caso che in terapia
— spiega Bassani - il
tradimento si tratta come un lutto e come tale si elabora».
La coppia che chiede aiuto a un terapista per salvare il proprio matrimonio ha
possibilità solo se è vitale, il che significa — paradossalmente - che deve
avere ancora voglia di litigare: «Quella che non discute, che non affronta i
problemi, che si trascina stancamente è una coppia morta. Se il rapporto ha un
encefalogramma piatto, i coniugi trovano giocoforza un ambiente più gratificante
fuori dalla coppia. Quando il partner non capisce, ha fretta, è distratto è più
comodo cercare e trovare all'esterno chi appaghi le mie necessità. Ma cambiare
persona — è certa la psicologa — non risolve il problema, è più saggio investire
su chi abbiamo già al fianco». Vivere in coppia dovrebbe voler dire prendersi
per mano, accompagnarsi e farsi da guida, alternativamente, lungo le strade —
non sempre in discesa — dell'esistenza: capita, però, che a un certo punto
invece di tenersi per mano ci si guardi di sottecchi, in cerca dei difetti,
delle carenze, di quello che l'altro non ha. «Ma se l'altro non ha le
caratteristiche che io desidero - prosegue la psicoterapeuta — o che speravo di
trovare in lui, sono io che devo compensare raddoppiando gli sforzi, donando me
stesso senza riserve». Una consapevolezza a cui è difficile arrivare da soli,
specie se si è prostrati per il dolore causato dal tradimento: rivolgersi a un
professionista è essenziale, vivamente sconsigliato pensare di districarsi da
soli nel labirinto della confusione affettiva. «Il terapista è un traduttore di
silenzi, porta la coppia a rivivere le motivazioni che hanno indotto i due
partners a promettersi eterno amore e cerca -conclude Bassani - di far brillare
quella luce, sepolta ormai da molto tempo». ♦
PERDONARE SI PUÒ
Riconoscere se stessi e l'altro come esseri
fragili. Mettersi in discussione in ogni piccolo tradimento della quotidianità.
E capire che il perdono, adulterio o no, è l'ingrediente essenziale per la buona
salute di ogni famiglia. Come insegna anche la Chiesa
di Antonella Mariani
Nessuno ci fa soffrire così tanto come le
persone che amiamo. Ecco perché il tradimento provoca la ferita più profonda di
tutte, la delusione più insopportabile. I gesti dell'infedeltà (per lo più
immaginati, perché i particolari nessuno li vuole veramente conoscere...)
diventano un chiodo fisso nella mente. "Anche volendo, non riesco a perdonare",
è la frase ripetuta. Però nemmeno buttare all'aria un matrimonio, far saltare
una famiglia è una decisione facile. E allora, con il tempo, si può cominciare a
gettare una nuova luce sul proprio e l'altrui dolore.
La responsabilità è tutta di chi ha tradito? Sono
proprio io la vittima, solo io, al cento per cento?
La storia di Dina, raccolta in "Di chi è la
colpa? Il perdono nella coppia" (a cura della Comunità di Caresto, Paoline, pag.
176, euro 20), racconta di un percorso possibile. Lei e lui, entrambi operai di
mezza età. Lei si era accorta che qualcosa non andava perché sparivano i piccoli
ori dei figli: il braccialetto della Prima Comunione, gli orecchini, una
medaglietta... Un giorno aveva trovato nella tasca dei pantaloni di lui una foto
che ritraeva due amanti abbracciati: uno dei due era suo marito. Un colpo al
cuore. Lui ha ammesso tutto: "l'altra" è una che lavora con lui, ha vent'anni di
meno, accettava di buon grado i regali... E lei, davanti a un caffè, ne ha
parlato con un'amica: "Cosa vuoi che faccia? Mi fa compassione, mio marito: io
sono entrata in menopausa e lui si è rimbambito dietro a questa. Chissà cosa
credeva, pover'uomo". Nell'umiliazione, nella rabbia, nel dolore, ha prevalso la
pietà. Dina ha riconosciuto la debolezza del marito, l'ha amata, anche. Pian
piano questa coppia ha superato la tristezza del tradimento e ha ripreso a
vivere la quotidianità nella pace, accanto ai figli, ai nipoti, agli amici di
sempre.
Il perdono di un adulterio è un percorso lungo. Che, sbollita pian piano la
delusione e la rabbia, parte dal riconoscere se stessi e l'altro come esseri
fragili. E dal mettersi in discussione:
in ogni tradimento, grande o piccolo, esiste sempre un
concorso di responsabilità. Ci può essere stata una mancanza di comprensione, un
raffreddamento dell'affetto, una provocazione, una distanza sottovalutata...
"Questo, pian piano — si legge in "Di chi è la colpa" - potrebbe suggerire di
essere meno definitivi e meno intolleranti verso l'altro che ha peccato.
Si può cominciare a vedere la situazione con gli occhi dell'altro e capire cosa
può essere successo non dal nostro, ma dal suo punto di vista".
Cercare di comprendere, seppur difficile, è un buon passo sulla via del perdono:
anche di se stessi, per non essere stati in grado di stare accanto all'altro e
aiutarlo a non sbagliare, magari averlo inconsapevolmente voluto metterlo alla
prova... A un certo punto però bisogna smettere di
cercare le colpe, altrui e proprie, e decidere di accettarsi di nuovo,
e dirsi ancora una volta: "Ti accolgo, nella buona e nella cattiva sorte". Ci
vogliono pazienza e umiltà, perché non sempre il corpo segue quello che la mente
decide e può ribellarsi all'idea di un'intimità con un uomo o una donna che
hanno così vilmente tradito. "Il perdono è insieme un dono e un lavoro. Ma
perché il lavoro abbia luogo, ci vuole del tempo", avvisa Xavier Lacroix,
docente di etica a Lione, tra i più grandi esperti di relazioni familiari in
Europa, in "Attratti dall'amore", un saggio a più voci curato da Francesco
Scanziani e appena edito da Ancora (pag. 240, euro 16,50). "Non c'è relazione
stretta tra due esseri che, nel corso del tempo, non richieda il perdono",
prosegue Lacroix. Lo insegna anche una pagina bellissima dell'Antico Testamento:
il profeta Osea ha una sposa infedele, e verso di lei prova sentimenti di rabbia
e tristezza, così come parallelamente Dio verso il suo popolo, Israele. Ma dopo
aver ricordato gli sbagli e le infedeltà della sposa, il brano spiazza e
sorprende, quando conclude: "Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel
deserto e parlerò al suo cuore". Non ripudierà la sua sposa peccatrice, non la
caccerà, non la punirà benché lo meriti. No, lo sposo sedurrà la sposa infedele,
vorrà riconquistarla, perché cosa se ne fa della sua coscienza pulita se non
stringerà nulla tra le braccia? La condurrà nel deserto, a tu per tu, per
parlare al suo cuore, per capire meglio le ragioni l'uno dell'altra... E parlerà
al suo cuore, non con la testa, ma con i sentimenti dell'amore ritrovato. Del
perdono.
E di perdono si è parlato molto nelle
parrocchie italiane da quando, nel biennio 2005/2006, l'Ufficio famiglia della
Conferenza episcopale italiana ha dedicato a questo tema le tradizionali
Settimane di studio sulla spiritualità familiare. Da quell'elaborazione nacque
una originale iniziativa, il Forum del perdono, una sorta di piazza virtuale,
anche sul web, in cui ognuno poteva raccontare la sua esperienza di perdono in
famiglia come "rivelazione della presenza, della misericordia e della tenerezza
di Dio". Da quel lavoro, protratto per parecchi mesi, è nato un dossier e una
mostra su pannelli che ancora oggi fa il giro delle parrocchie d'Italia.
Preghiere, poesie, canti, anche sculture e disegni, che esprimono la varietà
delle esperienze che, all'interno delle famiglie, arricchiscono una storia
d'amore, di perdono e di riconciliazione. "Abbiamo inteso così far emergere —
scrivevano nella presentazione dell'iniziativa don Sergio Nicolli e Michelangelo
ed Enrica Tortalla, allora a capo dell'Ufficio famiglia - il bene che è presente
in ogni persona e in ogni famiglia, annunciare l'esperienza possibile della
riconciliazione, dare nuovo impulso a una cultura del perdono nella nostra
società, lacerata da individualismo, da conflitti e da grandi solitudini". In
una riflessione arrivata al Forum del perdono dalla parrocchia di Gurone, in
provincia di Varese, le famiglie riflettono sull'offesa e la colpa, e concludono
che "la nostra fede ci chiede di accantonare la nostra pretesa di giustizia,
senza negare la realtà della colpa (...) L'offesa provoca una ferita: non
costruire una corazza contro chi te l'ha provocata ma, come l'ostrica, lavorala
dentro di te e trasforma il tuo dolore in una perla. La sua luce si rifletterà
nei tuoi occhi". In una poesia dal titolo "In ginocchio", giunta anch'essa al
Forum del perdono, l'autore, Nicola Rossi, della parrocchia di Santa Maria del
Popolo di Aitino (Chieti), scrive all'amata: "Rimettiamo i nostro debiti. /
Cadranno travi, pagliuzze e tralci / che non danno frutto / coi quali
accenderemo un bel fuoco. / Vedrai cara che il Signore / farà così ardere, di
nuovo, anche noi. / E il dono della pace / che sorpassa ogni dolore e debolezza
/ illuminerà per sempre / i nostri cuori e i nostri pensieri".
Il perdono è soprattutto un dono. Che facciamo a
chi lo riceve ma anche a noi stessi.