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E SUL GRANDE SCHERMO LA FAMIGLIA SI SFASCIA

Da Muccino a Verdone, da Virzì a Salvatores: i registi italiani tornano a occuparsi di relazioni affettive. Ma i padri "scoppiano" e i figli sono sempre incompresi. L'esperto Fumagalli: la normalità non c'è

Riproduzione  parziale dal n. 138 di "Noi, genitori & figli" del 28/02/10

di Arianna Prevedello
 

Sogna di essere al centro dell'agenda politica del Paese, ma si deve accontentare di essere il tema ispiratore del panorama cinematografico nazionale. Con poche eccezioni, però, i grandi  registi  italiani continuano  a rappresentarla come malata, sfasciata, patologica, in preda a isterie e incapace di instaurare relazioni e rapporti educativi corretti al suo interno. La famiglia stabile — quella tradizionale, maggioritaria nel nostro Paese - se proprio viene citata, appare un'aspirazione lontana, una dimensione impossibile   da   raggiungere. Insomma, una specie di utopia. Che dire di Gabriele Muccino e del suo "Baciami ancora", uscito a fine gennaio e di Giovanni Veronesi con il suo "Genitori & figli: agitare prima dell'uso", in uscita in questi giorni? Il primo, padre di tre figli avuti da tre diverse compagne, porta sullo schermo una generazione  di  40enni  fragili, impauriti dalle responsabilità familiari, eternamente in bilico tra impegno e fuga. Nel film si intuisce il desiderio di riappacificazione dei coniugi, si capisce che quello a cui ognuno aspira in fondo al cuore è la stabilità, anche se poi gli errori commessi lasciano il segno perché nemmeno vengono compresi nella loro drammaticità. Il secondo, Veronesi, ritrae generazioni impermeabili l'una all'altra, genitori e figli tra i quali la regola è l'incomunicabilità.

Secondo il professor Armando Fumagalli, docente alla Cattolica di Milano e direttore del Master in Scrittura e produzione per la fiction e il cinema, oltre che presidente del Comitato scientifico del Fiuggi Family Festival, «Muccino ha il coraggio di portare i suoi personaggi al perdono e alla riconciliazione, anche se per arrivare a questo risultato dipinge la realtà di una famiglia molto più frammentata e tormentata di quanto per fortuna in realtà non sia. Qualcuno dirà che gli artisti vedono lontano... Io vedo anche un trucco drammaturgico: esasperare i conflitti per creare emozioni nello  spettatore.  Rimane  irrisolto quindi il grande problema della rappresentazione della famiglia: non si riesce a raccontare la normalità, che ha anch'essa i suoi conflitti e i suoi problemi. O almeno non ci riesce il cinema europeo, a differenza di quello americano. Si veda per esempio il sottovalutato "Io & Marley"». A fare da traino, non poco sofferto, ai ricongiungimenti tra mariti e mogli spesso in balìa delle proprie emozioni sono gli occhi dei figli, che come un ultimo stadio della coscienza richiamano gli adulti a un senso di responsabilità e a un più profondo ascolto di sé. Presentando il suo ultimo film, senza mezze misure Veronesi denuncia che la famiglia allargata è un espediente del nostro tempo per vivere in pace con gli errori del proprio passato. L'autore toscano sottolinea come tra genitori e figli i litigi possano durare tutta una vita, gonfiati oggi anche dalla difficoltà di convivenza e comprensione tra "nativi" (i figli) e "immigrati" (i genitori) digitali - questo il cuore del suo film -, ma poi, stimolato dalle domande dell'intervistatrice, ammette che la sua esperienza personale dimostra che nemmeno la morte riesce a dividere quel nucleo centrale di affetti che dà senso a tutta la vita: la famiglia, appunto.

«Alcuni fra i film usciti in questi ultimi mesi - prosegue Fumagalli -riaffermano meritoriamente il fortissimo legame fra genitori e figli (su tutti "La prima cosa bella" di Virzì e "Lo spazio bianco" di Francesca Comencini), ma in un contesto in cui sembra che la coppia genitoriale stabile sia ormai un'utopia o sia superata per sempre. Sembrano affermare che basti la maternità: il padre è solo un accidente. Ma è un'illusione che rischia di mettere fuori strada». Senza padri sono anche il bambino allontanato dalla giovane madre e affidato a una casa famiglia e l'adolescente figlia di una madre separata isterica e infelice, ibernata nelle mode giovanili - prima è "emo", quindi dark e depressa, poi diventa "manga" - di "Io, loro e Lara" di Carlo Verdone. Per ricongiungere e "normalizzare" gli altri due fratelli e la giovane parente acquisita, ciascuno con le sue manie e patologie, serve in prestito il terzo fratello, un missionario dall'Africa (Verdone), che abbia respirato un'aria meno tossica di quella occidentale e che sappia rimettere al centro l'ascolto e la gioia dell'incontro in famiglia e smascherare le scorciatoie tipiche del mondo adulto (droghe, sesso, tradimenti, soldi e carriera).

Ma la lista delle uscite dell'ultima stagione cinematografica dedicate al pianeta famiglia è ancora lunga: lo scorso autunno Luca Lucini, apprezzabile per "Solo un padre", con "Oggi sposi" proclamava con tono da commedia la volontà di arrivare al "sì" a ogni costo a suon di peripezie - e anche questa è un'esasperazione della realtà. Seguito a ruota da Rubini e Angelini, che nel rispetto dei loro stili personalissimi restituiscono in "L'uomo nero" e in 'Alza la testa" indagini sofferte e originali della relazione tra padre e figlio. Il mirino rimane la famiglia anche per altri tre film in arrivo, girati da veterani: "Happy family" di Gabriele Salvatores e "Cosa voglio di più" di Silvio Soldini, entrambi ambientati a Milano, e "Le mine vaganti" di Ferzan Ozpetek che ritorna in Puglia.

 «Un aspetto positivo - conclude Fumagalli - è che in un cinema che negli ultimi due decenni era stato appannaggio di una elite culturale radicale (una sinistra laica ormai socialmente sbiadita), per la quale la famiglia borghese è la radice di tutti i mali (si vedano per esempio gli ultimi film di Cristina Comencini) compare ora all'orizzonte qualche approccio diverso». Accidentale rifugio temporaneo per cineasti nostalgici o un bene vitale di cui la settima arte del Belpaese si era privata? Il dibattito rimane aperto. ♦