L'AUTONOMIA DECISIONALE DEI
FIGLI
ADESSO DECIDO IO
Nella vecchia e stanca Europa,
da anni, si è insinuata una strana cultura: promuovere l'autonomia decisionale
dei figli, difendendoli dai legami soffocanti con mamma e papà. Messaggi che
minano l'autorevolezza del rapporto genitore-figlio, rendendo più difficile la
naturale relazione educativa
Riproduzione parziale
dal n. 156 di "Noi, genitori & figli" del 30/10/2011
di Massimo Molteni*
Un genitore italiano è arrestato
in Svezia per due giorni, per uno scappellotto al figlio. Viene in mente
Geppetto, arrestato dai Carabinieri, quando inseguiva il suo Pinocchio che,
appena appresa la capacità di camminare, infilò la porta dopo aver assestato un
calcio al suo genitore: ci si strugge il cuore nell'immaginare Geppetto, tenero
e appassionato, che non riesce a tenere testa alla "voglia di libertà",
intemperante e impulsiva del suo Pinocchio che lui aveva messo in condizione di
poter camminare. Non lo vuole frenare, gli vuole bene, ma sa quanto
l'eccitazione dei ragazzi unita alla frenesia ostile e indifferente del mondo
possa essere pericolosa: chiede aiuto alla... società civile. E i carabinieri lo
arrestano: ovviamente "a fin di bene" e per tutelare... Pinocchio. Ma in un
rapporto educativo autentico, fatto di passione, emozione, desiderio, chi meglio
del padre può volere il bene del figlio? Nella vecchia e stanca Europa, da anni,
si è insinuata una strana cultura sussurrata con voce suadente: promuovere
l'autonomia decisionale dei figli, perché ogni individuo deve poter sviluppare
la sua libertà decisionale, sempre; difendere i figli dai legami soffocanti con
i genitori, che con i loro desideri ne impediscono la realizzazione; consentire
nella famiglia solo "legami deboli" — ossia solo legami emotivi-affettivi - per
evitare che la condivisione di valori, progetti, obiettivi, ostacoli la
realizzazione di sé, assunta come unico e fondante scopo del vivere. Ovviamente
sempre per il bene dell'individuo.
E così, si fa strada l'idea che il minore debba esprimere il suo assenso, che in
alcuni casi è già stato normativamente trasformato in "consenso", per le cure
mediche cui deve essere sottoposto: compito dei tecnici stabilire quando il
bambino ha un sufficiente grado di autonomia per decidere da solo, anche contro
il parere dei genitori. Rendere obbligato il consenso, esplicito e formale, di
entrambi i coniugi per molte decisioni che riguardano la quotidianità del
minore, quasi che non possa essere data la naturale e implicita solidarietà
decisionale tra due adulti legati da un vincolo importante come quello
matrimoniale. Potenti messaggi che minano l'autorevolezza del rapporto
genitore-figlio, rendendo più difficile la naturale relazione educativa. Con
alcune conseguenze: come può un genitore opporsi alle richieste del figlio se il
suo ruolo è continuamente messo in discussione, non solo dalla cultura, ma anche
nella giurisdizione "quotidiana"?
Niente fraintendimenti: nessuno può permettersi di trattare i figli in un
rapporto "padre-padrone". La relazione educativa presuppone un rispetto profondo
per il figlio che nasce da un vincolo d'amore fortissimo, addirittura sostenuto
da componenti biologiche nei primi periodi dello sviluppo e che si arricchisce
poi in una profonda partecipazione interpersonale e socio-culturale. Molte
insidie sono presenti sulla strada di una relazione educativa autentica: i
genitori possono sbagliare anche per "troppo affetto". Spesso lo fanno. Più
frequentemente sbagliano per l'indebolimento di una matura competenza educativa,
che si aggrava ulteriormente per la fragilità della relazione coniugale fino a
trasformarsi in "negligenza educativa", a volte "dorata". Chi fa ricerca
scientifica lo vede emergere in continuazione. Per evitare questi guai, non
serve rinforzare il peso giuridico delle norme di tutela sociale, esautorando il
genitore dal suo dovere di padre e di madre. Quando Pinocchio è liberato dal
padre, può finalmente correre a perdifiato dove vuole, ma anche restare
abbagliato dai luccichii del mondo circostante: e sogna così il "mondo dei
balocchi", dove "l'omino burroso", ben presto, si trasforma in un tiranno senza
scrupoli: ma chi può difenderlo ormai?
Indebolita la funzione del genitore, aumentata a dismisura l'attrattività del
mondo, il bambino è sempre più solo: la sua capacità di autoregolarsi
autonomamente è un processo lungo, pieno di insidie, legato alla maturazione
anche dei sistemi biologici che possono presentare naturali diversità. E che
andrebbe maneggiata con rispetto e doverosa cura, senza intrusioni o
manipolazioni. Lasciato solo, Pinocchio muore: e non sempre c'è la Fata Turchina
a risuscitarlo. E anche se non muore, minore è lo schermo protettivo di una
adeguata relazione educativa genitore-figlio, maggiore è la probabilità di
sviluppare disturbi emozionali e comportamentali: fino agli anni 2000 in Italia
la prevalenza dei disturbi emozionali e comportamentali nei preadolescenti era
inferiore a quella di altri paesi europei, dove da anni erano già state
sviluppate e con maggior vigore riforme culturali per "liberare" i figli dai
genitori. Diversa biologia? No: una scuola -quella italiana - più inclusiva, una
famiglia dove i genitori - pur tra tanti errori - non rinunciavano a esercitare
il loro ruolo, un ambiente sociale dove, grazie al tessuto connettivo delle
relazioni tra famiglie, i bambini ancora potevano muoversi, con una relativa
sicurezza, anche prescindendo da spazi sociali organizzati dai sistemi di
welfare. Stiamo però rapidamente colmando il divario: il disagio emozionale dei
bambini e dei ra-gazzi va crescendo... Dobbiamo volgerci quindi al passato? No:
i figli sono "il" futuro. Rimangono però figli, "condannati", nell'età
evolutiva, ad una fragilità emotiva costitutiva, che chiede di essere raccolta e
fatta crescere: con tanta cura.
Mai rinunciare ad essere genitori, sapendo però che il fondamento della
relazione educativa è vivere in prima persona scelte sobrie e consapevoli. Se da
adulti resistiamo alle lusinghe dell'eccitazione del mondo, allora anche i figli
saranno aiutati a sviluppare una loro originale e creativa modalità di stare nel
mondo globale sapendo di poter contare su un "porto" dove gettare l'ancora: un
piccolo porticciolo, anche polveroso ma sobrio, rispettato da tutti, dove un
Geppetto, in laboriosa operosità, li aspetta, per buttar loro le braccia al
collo, per dare un limite, se necessario, per un rimprovero, o anche solo per
incrociare nel silenzio i suoi occhi con quelli del figlio. Difendere quindi i
bambini, ma dalle insidie vere, non dagli scapaccioni - magari maldestri - di un
genitore, quando è impegnato in una autentica relazione educativa.
Semmai, aiutiamo tutti i genitori a tornare ad essere educativamente competenti,
visto che la naturale trasmissione intergenerazionale di "saperi" è stata
bruscamente interrotta.
* Direttore Sanitario e responsabile della ricerca in psicopatologia dell'IRCCS
"E. Medea'