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Il boom dei gruppi di auto mutuo aiuto (9 mila in Italia) nell'ambito familiare. Disabilità, adolescenza, lutto: ecco i contorni di un fenomeno che chiede alle istituzioni di essere riconosciuto

Riproduzione  parziale dal n. 146 di "Noi, genitori & figli" del 28/11/10


di Giovanna Sciacchitano

Ci sono le neomamme disorientate alle prese con neonati impegnativi, i genitori che non capiscono i figli adolescenti, chi ha un malato grave in famiglia, chi sta affrontando una separazione, chi ha subito un lutto... Tutti consapevoli di stare sulla stessa barca, di condividere un'esperienza di vita e che darsi la mano, creare una "rete" con chi ha lo stesso pro­blema, sia il primo passo fondamentale per sciogliere le paure e i nodi che soffocano l'anima. In Italia i gruppi di auto mutuo aiuto sono una realtà relativamente recente e in continua evoluzione. Oggi se ne contano circa 9 mila, localizzati soprattutto al nord e al centro. Il gruppo Amalo  (Auto  mutuo aiuto Lombardia) sta lavorando a una mappatura nazionale che sarà completata entro la fine di quest'anno. Gli ambiti più rappresentati sono le dipendenze, soprattutto dall'alcol, dagli stupefacenti, dal gioco, da internet, dal cibo, dalla pornografia... Poi ci sono le disabilità fisiche, psichiche, sensoriali. E problematiche come ansia, attacchi di panico e depressione. Ma i gruppi che negli ultimi anni hanno fatto registrare una vera esplosione sono quelli che si occupano di relazioni familiari e cicli di vita.

 

In generale, si tratta di strutture duttili e strettamente legate ai bisogni concreti; se ne è cominciato a parlare negli Anni Trenta negli Stati Uniti con i gruppi degli alcolisti anonimi e poi con quelli sulla disabilità psichica. Oggi le persone si ritrovano per affrontare insieme disagi nuovi; così sul territorio i gruppi di auto mutuo aiuto nascono in risposta a un bisogno, che con il tempo si può esaurire o modificare. Ecco perché è difficile quantificarli, visto che almeno il trenta per cento di questo mondo rimane sommerso. «I gruppi di auto mutuo aiuto possono essere considerati "reti deboli" perché non richiedono strutture permanenti, sono gratuiti e basati sul volontariato — spiega Amadio Totis, coordinatore Amalo, assistente sociale e ricercatore alla Bicocca di Milano —. Chiunque può accedere a un gruppo, l'unico criterio di selezione è vivere la problematica della quale ci si occupa. La frequenza è libera e si può partecipare anche semplicemente ascoltando».

Il gruppo può essere definito un "cerchio magico" perché al suo interno ci si rende conto che questo è il luogo in cui veramente siamo compresi fino in fondo. Attraverso gli incontri si scopre di essere accettati e capiti, ma anche di riuscire a trovare soluzioni concrete da "scambiare". Si comprende di saper dare e ricevere. In una parola: solidali. Parlare e confrontarsi con altre persone consente di sviluppare competenze affettive, relazionali, ma anche pratiche   come,   per   esempio,  la capacità di cercarsi un lavoro. «L'individuo si vede come una risorsa per sé e per gli altri - osserva Totis -. Da persona prostrata e addolorata, il partecipante comincia a intravedere delle soluzioni e a creare una rete di amicizia. Si sente in un ambito peculiare in cui nessuno viene giudicato. C'è chi parla di più, chi di meno. Chi propone e chi accoglie». Figura chiave dei gruppi di auto mutuo aiuto è il facilitatore della comunicazione. Può essere un membro del gruppo capace di intervenire al momento giusto e di rendere fruttuoso ed equilibrato l'incontro. Ma può anche essere estraneo al gruppo, come per esempio un operatore che abbia una preparazione specifica. Non dà mai soluzioni, ma fa in modo che la comunicazione fra le persone porti alla costruzione di risposte. Le stime recenti dell'Oms riferivano di circa 130 ambiti diversi di gruppi. «Penso che oggi siano molti di più, perché queste realtà hanno mediamente un incremento del 20-25% annuo. Nel 2007 nella sola Lombardia erano 500, oggi sono quasi 900 - osserva Totis -. Il successo sta nella formula: non si parla di "aria fritta" o di problemi in generale, ma proprio di quel problema specifico».

Molto spesso questi gruppi non sono riconosciuti come tali. «Sarebbe opportuno che le istituzioni come i servizi sociali e sanitari aprissero gli occhi di fronte a queste realtà -sottolinea il ricercatore -. È necessario che vengano fatte conoscere, rese più visibili, valorizzandone l'azione. Esiste un mondo di reti deboli e di risorse in Italia che si muovono nel territorio e che sostengono la maggior parte delle situazioni di disagio». C'è da dire che i Paesi del Sud dell'Europa sono un po' il fanalino di coda dell'auto mutuo aiuto. Basti pensare che in Germania sono attivi circa 130 mila gruppi, in Inghilterra 80.000, mentre da noi non si raggiunge la soglia dei diecimila. In Germania da tempo i länder hanno creato un modello per favorire la nascita delle "clearing house", cioè "associazioni ombrello" che possono contare su finanziamenti e visibilità. Solo in Alto Adige c'è un modello simile a quello tedesco.

Rispetto al resto d'Italia le province autonome di Trento e Bolzano finanziano servizi che fanno informazione e formazione per i volontari. Anche in Italia sono attive "associazioni ombrello",  come,  per esempio, Amalo-Arcenciel in Lombardia. La Regione Lombardia attraverso la legge 23/99 sulla famiglia cita l'auto mutuo aiuto. Attualmente queste reti sono presenti nell'associazionismo, nelle cooperative, nei servizi della salute mentale del settore pubblico e nel privato. Esiste anche un mondo di auto mutuo aiuto su internet. Il gruppo Amaleusi di Torino ha realizzato un portale dedicato ai giovani. Sfruttare il web può essere utile per chi non se la sente di esporsi in prima persona, per ragioni di privacy o perché impedito nella mobilità. ♦

GENITORI ADOTTIVI A CONFRONTO

Roberto, 51 anni, libero professionista, consulente del lavoro e la moglie Fulvia, 52 anni, impiegata part-time, hanno fatto parte per vari anni di gruppi di auto mutuo aiuto destinati ai genitori adottivi e organizzati dall'Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie). I due figli gemelli, Santos e Maria Elena, adottati dall'Equador con il Ciai all'età di quasi tre anni, oggi sono diciottenni. «Abbiamo frequentato l'Anfaa già nella fase di domanda di adozione con un corso di preparazione. Una volta diventati genitori adottivi, abbiamo deciso di far parte di un gruppo proprio per scambiarci esperienze, anche quelle più banali. Inizialmente ci siamo confrontati con le difficoltà scolastiche dei bambini, che fortunatamente non hanno mai presentato problemi a livello di relazione - racconta Roberto -. Ci siamo resi conto subito che si trattava di un problema comune e che avremmo dovuto rivedere le nostre aspettative. Il gruppo ci ha aiutato a sdrammatizzare e a capire che il bambino adottato si porta sempre dietro un fardello doloroso con cui deve fare i conti. Questo può comportare problemi di concentrazione e difficoltà con materie come matematica e storia, per citare il nostro caso».

Far parte di un gruppo è già un primo passo per superare quelli che sembrano scogli insormontabili. Oggi Maria Elena frequenta con profitto un corso di formazione professionale nell'area grafica, è serena ed equilibrata, mentre Santos ha scelto una scuola alberghiera, che gli costa un po' di fatica. «Lui vive ancora una fase di crescita - spiega Roberto -. Ed è più portato allo scontro con i genitori».

 

Gli incontri sono sempre coordinati da un facilitatore che ha il compito di aiutare i genitori a riflettere e a trovare da soli la soluzione alle diverse situazioni problematiche. Il primo gruppo a cui hanno partecipato Roberto e Fulvia poi si è esaurito, e sull'esigenza di confrontarsi si è formato un gruppo specifico sull'adolescenza. «Partivamo dalla consapevolezza che i nostri figli, benché uguali a tutti gli altri - sottolinea il papà - in questa età hanno qualcosa in più da affrontare. E parlare con gli altri può aiutare in questo percorso». I gruppi sono formati da sei, sette coppie al massimo e hanno cadenza mensile, con l'intervallo del periodo estivo. Si prevede un certo percorso ma poi si affrontano i problemi che emergono dalle esigenze delle singole coppie.

«Nei nostri incontri sono emersi anche problemi pesanti — ricorda Roberto -. Con figli che scappavano di casa o andavano a dormire per conto loro. Alla fine dei vari racconti ci si chiedeva se il ragazzo si riconoscesse o meno nella propria famiglia. La domanda clou nell'adolescenza è questa, che poi di fatto rivela se l'adozione ha funzionato o meno. Il gruppo non dà la soluzione. Ci sono casi in cui il ragazzino rifiuta la famiglia e a volte è necessario rivolgersi a uno specialista. In ogni caso ogni partecipante può contribuire a vedere da un'altra angolazione una determinata situazione e a non sentirsi soli».

Questi gruppi servono anche a fermarsi un po'. «Con alcuni genitori sono nate belle amicizie - conclude Roberto -. Siamo rimasti in contatto e continuiamo a vederci con i figli per mangiare una pizza oppure per scambiarci gli auguri prima delle feste».

 

UNA RETE PER LE DISABILITA'

«La prima volta che ho partecipato a un incontro non c'è stato neppure bisogno di spiegare chi fossi e quale fosse la mia storia. È bastato guardarsi negli occhi per capire che avevamo tutte lo stesso vissuto: mi sono sentita subito accolta». Daniela, 52 anni, descrive così il suo ingresso, tre anni fa, nel gruppo di auto mutuo aiuto di mamme con ragazzi disabili. Suo figlio, Andrea, 22 anni, è portatore di un'anomalia cromosomica rara. «Quando è stato diagnosticato questo disturbo il bambino aveva già otto anni - racconta la mamma -. Ho vissuto tutto quello che vive un genitore che scopre di avere un figlio con disabilità. Si scatena un turbine di emozioni, che comprende anche la rabbia e il rifiuto. E mi sono sentita sola perché pensavo che non ci fosse nessuno con cui potermi confrontare». Daniela si è accorta della disabilità dall'assenza del linguaggio e dalle difficoltà motorie. «Con mio marito abbiamo contattato neuropsichiatri e psicologi per cercare di capire cos'avesse il bambino — spiega —, ma è stato grazie all'aiuto di altri genitori che siamo arrivati a trovare la struttura che ha diagnosticato il suo disturbo (sindrome da delezione lp36), individuato verso la fine degli anni 90».

In seguito questa mamma-coraggio ha conosciuto la cooperativa "La rete", nata vent'anni fa, che ha sede a Trento e che sostiene la famiglia e i ragazzi con disabilità. «Mi sono rivolta a loro perché mio figlio aveva bisogno di socializzare con i suoi coetanei — prosegue -. Oggi grazie ai volontari va al cinema, esce la sera e partecipa a gite con altri amici». Frequentando la cooperativa, Daniela ha sentito parlare di un gruppo di auto mutuo aiuto di mamme di ragazzi con disabilità. «E un gruppo di persone che si incontrano da più di vent'anni - racconta con entusiasmo —. Le caratteristiche del gruppo sono l'empatia, l'ascolto e la condivisione.